salute a base aloe vera

L’aloe vera è una pianta conosciuta fin dall’antichità per le sue proprietà officinali. Si pensa addirittura che sia stata tra le prime piante utilizzate a scopo curativo. A carattere arbustivo, predilige gli ambienti caldi e secchi, ma la si trova anche in zone a clima temperato. Le foglie, che possono raggiungere dimensioni notevoli, presentano spine laterali e terminano con apice acuminato. Sono molto carnose e contengono una grande quantità d’acqua. In genere i preparati a base di aloe vera, specialmente quelli edibili non contengono la membrana esterna apicale, poiché la sua assunzione può causare alcuni problemi, specie in gravidanza.

Perché si usa l’aloe vera

l’aloe vera è una risorsa straordinaria per l’uomo poiché ha diverse proprietà curative e protettive. Nel campo della cosmesi è largamente utilizzata per la cura della cute e dei capelli, poiché ha potere lenitivo, antisettico, tonico. Gli estratti di aloe vera sono altresì utilizzati nella preparazione di integratori alimentari. Si può trovare l’estratto di aloe in succhi, compresse, in associazione agli estratti di altre piante officinali o meno.

L’Aloe ha un alto potere antinfiammatorio ed è un potente antiossidante. Per queste sue caratteristiche è utilizzata come coadiuvante nelle cure di affezioni complesse ai danni di vari organi ed apparati, compreso il cancro. Studi clinici hanno dimostrato Ha proprietà antipiretiche, contrasta cioè l’innalzamento della temperatura corporea, è un potente antibatterico ed ha proprietà lenitive e umettanti.

Pare che abbia anche proprietà antidepressive, che sia molto utile in caso di mal di testa, che contrasti le allergie, che contrasti la cistite, che svolga un’azione antifungina, che sia utile in caso di asma, di affezioni a carico dell’apparato respiratorio come bronchiti, raffreddori, che attenui i sintomi influenzali ed la lista continua. E’ utilizzata anche per contrastare la stipsi e regolarizzare il transito intestinale. In altre parole è una risorsa preziosissima per mantenersi in forma e contrastare l’invecchiamento cellulare.

Possibili controindicazioni dell’aloe vera

Gli estratti di aloe vera non risultano particolarmente tossici per l’uomo, pur tuttavia i preparati edibili a base di estratti di aloe vera possono causare alcuni disturbi a carico dell’apparato digerente, in particolare disturbi intestinali come la diarrea, specialmente se contengono parti della membrana esterna apicale della foglia. Sono controindicati in gravidanza e in caso di allergie. Come per tutti gli integratori alimentari è bene usare prudenza nell’assumerli e consultare il proprio medico curante per avere maggiori informazioni sul rapporto rischio-beneficio che deriverebbe dall’assunzione di integratori a base di aloe vera.

becco di uccelli

Nel loro percorso evolutivo, gli uccelli si sono evoluti per battere la concorrenza. Scopriamo insieme perché gli uccelli hanno il becco e a cosa serve in base alle specie differenti.

La storia dei becchi e gli uccelli

I becchi sono apparsi molto presto nella storia evolutiva delle creature terrestri. Dinosauri come il Segnosaurus sembra avessero un becco corneo, utile forse per nutrirsi di termiti. Molto probabilmente era di cheratina, una proteina prodotta da cheratinociti, cellule che una volta giunte sulla superficie del corpo perdono acqua, si appiattiscono e muoiono, proprio come succede alla nostra pelle (cheratina “molle”) e unghie (cheratina “dura”). Il becco lo ritroviamo oggi negli uccelli (i diretti discendenti dei dinosauri) ma anche in altri animali come le tartarughe e ha avuto un ruolo chiave anche nella formulazione della teoria dell’evoluzione.

Charles Darwin noto che i becchi dei fringuelli che vivevano nelle isole Galàpagos erano molto diversi tra loro. Gli uccelli con un becco corto e robusto si nutrivano di semi sul terreno, quelli con un becco più lungo e sottile mangiavano insetti o estraevano semi dai cactus. Darwin comprese che gli animali che avevano sviluppato un becco erano riusciti ad adattarsi meglio all’ambiente, sfruttando delle fonti di cibo abbondante che sarebbero altrimenti state difficili da raggiungere.

Tipi di becchi

Non tutti gli uccelli hanno gli stessi identici becchi. Scopriamone le differenze tra i tipi di becchi in base a quello che gli uccelli mangiano:

Pellicano (pesce): In un solo colpo i pellicani sono in grado di catturare più di un pesce intero utilizzando il lungo becco e la grande sacca golare come un retino da pesca.

  • Avvoltoio (carogne): il becco corto e adunco è perfetto per strappare brandelli di carne da una carcassa, una caratteristica questa che è utilissima in un animale saprofago che si nutre di carogne.
  • Fringuello (emi/insetti): hanno un becco corto e tozzo che può variare in lunghezza; le molte specie si sono adattate in ambienti diversi.
  • Marti pescatore (pesce/insetti): il becco leggero, lungo e sottile del Martin pescatore, sproporzionato rispetto alle dimensioni del corpo, è perfetto per catturare pesci sott’acqua e insetti in volo.
  • Tucano (bacche): questo uccello sudamericano ha il becco più grande tra tutti i volatili della stessa taglia. Lo usa per raccogliere bacche, ma anche per regolare la temperatura corporea.
  • Colibrì (nettare): il colibrì ha un becco a forma di spada che può essere più lungo di tutto il corpo. Lo usa per nutrirsi rimanendo in volo davanti ai fiori dalla lunga corolla tubolare.
a bordo della mary rose

Una delle navi più famose di tutti i tempi e la Mary Rose, probabilmente nota soprattutto per la sua scomparsa, avvenuta il 19 luglio 1545, mentre si affrettava a lasciare Portsmouth Harbour per andare incontro a una flotta d’invasione francese.

La storia della Mary Rose: la nave ammiraglia di Enrico VIII

La storia di questa imbarcazione è ricca di eventi. Varata nel 1511, poteva vantare 34 anni di servizio alla data del suo affondamento, avvenuto in occasione della Battaglia di Solent.

Costruita per far parte della Royal Navy che doveva proteggere i mari inglesi, era una caracca, ossia una grande nave con quattro alberi. La tattica di battaglia prevedeva che la — Mary Rose sparasse una bordata con tutti i suoi cannoni prima che l’equipaggio abbordasse il vascello nemico. Dopo anni di servizio, la Mary Rose venne riammodernata nel 1527.11 fasciame fu modificato per permetterle di imbarcare cannoni più grandi, con portelli a tenuta stagna.

Con queste nuove armi poteva far fuoco verso bersagli più lontani e prendere di mira obiettivi costieri. Ci sono molte teorie in merito al suo affondamento. Alcuni ritengono che sia avvenuto per una manovra errata. Secondo altre fonti, un colpo di vento l’avrebbe investita i in un momento critico, facendola rovesciare. Per quella che avrebbe dovuto essere la sua battaglia finale, la nave era stipata di soldati e cannoni e forse il peso eccessivo contribuì al disastro. Viene anche riportata una testimonianza secondo la quale la colpa sarebbe da attribuirsi a una palla di cannone che avrebbe centrato la nave. Tuttavia, di questo non esiste alcuna prova archeologica.

Come è stata recuperata la nave

Con il passare dei secoli dal suo affondamento, ci sono stati vari tentativi di recuperare la nave. Già alcuni giorni dopo il disastro furono ordinate missioni di recupero, ma la tecnologia del tempo non era sufficiente. Il relitto venne lasciato a deteriorarsi fin quando non fu riscoperto nel XIX secolo.

Alcune immersioni riportatono alla luce vari manufatti ma la nave dovette attendere fino al 1982 per rivedere la luce, grazie a un telaio di sollevamento e una gru galleggiante che permisero di tenere insieme i pezzi e riportarli a riva. Il relitto si trova ora nel Mary Rose Museum di Portsmouth. I primi tempi, la nave veniva bagnata con acqua dolce ogni giorno per lavare via il sale, poi è stata applicata una cera speciale per proteggere il legno.

conoscere le tarantole

Le tarantole sono senza dubbio l’incubo degli aracnofobici, ma anche creature affascinanti. Una delle loro caratteristiche più straordinarie è la grande capacità di adattamento: al mondo ne esistono circa 9oo specie diffuse negli ambienti più disparati, dalle foreste tropicali agli aridi deserti.

I segreti dei ragni più grandi della terra

A causa delle grandi dimensioni, le tarantole non abitano sulle ragnatele, ma si servono della seta all’interno delle tane. Molte scavano buche che poi foderano di ragnatela: i fili sono ottimi per puntellare le pareti e creare trappole che si estendono dall’ingresso e che funzionano come degli antifurto per segnalare la presenza di intrusi o potenziali compagni. Altre vivono sugli alberi, in tane tubolari realizzate con la seta oppure in buchi nella corteccia. Infine, ci sono tarantole nomadi, senza fissa dimora. Durante il giorno riposano, ma di notte escono a caccia.

Tra le prede tipiche di una tarantola ci sono gli insetti, come i grilli, ma le specie più grandi sono in grado di catturare piccoli roditori, lucertole, rane e perfino giovani uccelli. Afferrata la preda, usano le zanne (lunghe fino a 2,5 centimetri) per iniettare una dose di veleno letale nel malcapitato, subito dopo iniettano enzimi digestivi, in modo da predigerire la preda e risucchiarne il corpo attraverso l’appendice boccale simile a una cannuccia. Il veleno è più debole rispetto a quello di una vespa o di un’ape, quindi per noi esseri umani la puntura, per quanto dolorosa, è quasi innocua.

Caratteristiche delle tarantole

Pur essendo i ragni più grandi del pianeta hanno anche loro dei nemici: se attaccate, cercano di spaventare l’aggressore ergendosi sulle zampe posteriori, in modo da sembrare più grandi e mostrano le zanne come avvertimento. Se tutto ciò non funziona, le tarantole del Nuovo Mondo strofinano le zampe sulla zona addominale liberando una nuvola di peli urticanti che possono irritare la pelle e gli occhi del nemico. Come tutti gli artropodi vanno incontro a un processo di muta, una o più volte l’anno, e cambiano esoscheletro per crescere.

Oltre a sostituire “l’armatura” esterna e alcuni organi (come i genitali femminili) nel giro di due o tre mute possono addirittura rigenerare le appendici perse “in battaglia”. La fisiologia e l’anatomia delle tarantole sono le stesse (o quasi) di un ragno qualsiasi. In linea di massima, infatti, cambiano solo le dimensioni. In una tarantola quindi c’è posto per il cuore, l’intestino, l’ovario nelle femmine, i polmoni a libro, le setae, il sistema nervoso centrale e gli artigli.

pistola sparachiodi

Si tratta di un attrezzo che ha quasi mandato in pensione il martello. Ma che cos’è e come funziona una pistola sparachiodi?

Caratteristiche di una pistola sparachiodi

Usata per inserire chiodi nei muri e altre superfici, la pistola sparachiodi è una rivale automatica del martello in molti campi dell’edilizia e dell’industria manifatturiera. Inventata negli anni 450, oggi è presente sul mercato in diverse varianti. La più semplice è quella a molla. Questo tipo è in grado di ospitare un chiodo per volta e usa la forza di una molla a spirale per inserire il chiodo nella superficie desiderata. Un altro tipo è la pistola sparachiodi a solenoide, o elettromagnetica. In questo caso il pistone è composto da un materiale magnetico che viene spinto fuori o dentro la pistola, a seconda della direzione del campo magnetico.

Le pistole a solenoidi sono più affidabili di quelle a molla ma sono meno potenti delle pistole sparachiodi pneumatiche. Sfruttando l’aria compressa, una pistola sparachiodi pneumatica è in grado di penetrare anche le superfici più dure. Un’altra variante è la pistola sparachiodi a combustione, che accende una miscela di gas infiammabile e aria per creare una piccola esplosione (come quella dei motori dell’auto), spingendo così il chiodo fuori dalla canna. Tuttavia, il fatto che sia attaccata con un tubo a un compressore d’aria ne consente un utilizzo limitato rispetto agli altri modelli. Questi sono gli elementi che tutte le pistole sparachiudi possiedono:

  • Grilletto secondario. Spesso sulla pistola è installata una misura di sicurezza che impedisce ai chiodi di essere sparati per sbaglio. I chiodi vengono rilasciati solo quando lo strumento è premuto contro una superficie solida.
  • Caricatore. I chiodi si trovano in un caricatore. Può avere un design semplice come in figura o una forma a spirale che contiene un maggior numero di chiodi.

Origini della pistola sparachiodi

Lo strumento è stato inventato negli anni ’50 da tre operai edili americani: Marvin Hirsch, John 011ig e Reuben Miller, che basarono la loro idea sul meccanismo delle pistole della Seconda Guerra Mondiale. Veterani della guerra, svilupparono il prodotto in un garage e presentarono l’idea alla lndependent Nail Company.

Impressionata dalla loro invenzione, l’azienda offrì ai tre operai 25.000 dollari. Inizialmente i tre rifiutarono l’offerta con l’idea di avviare una loro società, ma faticando a trovare dei finanziatori cedettero i diritti a un’altra azienda, la Bostitch. Nei decenni seguenti la pistola sparachiodi si è evoluta ed è diventata il potente strumento che conosciamo oggi.

a bordo della dune buggy

Si tratta di semplici fuoristrada adattati per dominare un tipo di terreno che intrappolerebbe qualsiasi veicolo.

Cosa sono le dune buggy?

Le dune buggy sono veicoli progettati per attraversare zone sabbiose. Visto che il terreno è soffice e ondulato, una dune buggy deve essere leggera, disporre di una buona trazione e poter sterzare in modo netto. Sono diventate popolari negli anni Sessanta quando molti appassionati, prevalentemente americani, elaborarono per l’uso fuoristrada dei Volkswagen Maggiolino raffreddati ad aria, un modello particolarmente semplice da modificare e manutenere.

Le dune buggy di oggi sono invece progettate apposta per questo tipo di uso, offrono prestazioni migliori e maggiore sicurezza (grazie a una gabbia in acciaio rinforzato saldata al telaio che garantisce l’incolumità in caso di ribaltamento). Oltre alla sicurezza, usare una gabbia di acciaio al posto di un abitacolo chiuso rende il veicolo più leggero e mantiene più freschi i passeggeri. Il motore viene spesso preso da piccole auto o persino motociclette, ideali per l’elevato regime di giri che offre una spinta più elastica.

Di solito, il motore è posizionato dietro al pilota e parallelo all’asse posteriore, per aiutare a distribuire il peso tra le due ruote posteriori. Queste impiegano pneumatici larghi gonfiati a pressione molto bassa, per assicurarsi che coprano una superficie più estesa. Visto che il terreno è così accidentato, vengono usate sospensioni con un’escursione ampia per assorbire quanto più possibile le asperità. Il veicolo si guida con pedali e sterzo su colonna con pignone, come una normale auto. Oggi, questi veicoli sono usati principalmente nelle competizioni o per intrattenere i turisti nelle aree desertiche.

La dune buggy in natura

Prima dell’avvento del motore a scoppio, il cammello è stato per secoli il mezzo migliore per muoversi nel deserto. Un po’ più lento di una dune buggy, ma altrettanto funzionale. Come le ruote di una dune buggy, i larghi zoccoli del cammello si adattano bene al terreno, distribuendo il peso su un’area molto ampia e permettendo loro di camminare sulla sabbia soffice. Il manto lanoso li mantiene freschi di giorno e caldi di notte, mentre le lunghe ciglia e le narici strette tengono a bada la sabbia. Possono accumulare grassi e acqua sufficienti a viaggiare per giorni senza ristoro.Queste sono le caratteristiche che rendono una dune buggy il mezzo ideale per guidare sulla sabbia:

  • Rollcage: l’intera carrozzeria è formata da una gabbia, solitamente costruita in acciaio inox, che protegge i passeggeri dai ribaltamenti.
  • Sospensioni: hanno una corsa molto lunga e delle molle molto morbide, per consentire una guida il più possibile confortevole nell’attraversare terreni ticchi di asperità
maven su marte

A settembre, dopo un viaggio di 700 milioni di chilometri, la sonda Maven è entrata in orbita attorno al Pianeta Rosso. Scopriamo di cosa parliamo e quali sono i suoi compiti.

Perché si va ad esplorare sempre Marte?

Luna a parte, Marte è il corpo celeste che vanta il maggior numero di missioni esplorative finora. Qualcuno potrebbe chiedersi perché continuiamo a mandare sonde verso questo pianeta invece di indirizzarle verso mete meno conosciute, ma i motivi non mancano. Innanzitutto, esplorare Marte è più comodo ed economico di qualsiasi altro pianeta. Sebbene Venete sia (in media) più vicino, Marte offre condizioni meno estreme e la prospettiva che in passato abbia ospitato dell’acquaio rendono più interessante da studiare.

Marte è sotto il “bombardamento” delle missioni esplorative fin dal 1960, ma molte delle 40 lanciate fino ad oggi sono fallite. Alcune, addirittura, non sono neanche uscite dall’atmosfera terrestre. Di quelle riuscite, solo una minima parte sono ancora operative e molte sono prossime alla dismissione. Ecco perché serve una nuova generazione di sonde che raccolgano dati, la prima della quale è MAVEN – che sta per Mars Atmosphere and Volatile Evolution.

Il lavoro di Maven

Entrata in orbita il 22, settembre, lo scopo principale di questo satellite artificiale è quello di studiare l’interazione dell’atmosfera esterna di Marte con il vento solare, per capire come la perdita di atmosfera dovuta a questa corrente abbia influenzato il clima del pianeta. Per condurre le analisi, la sonda è equipaggiata con un gran numero di sensori ad altissima tecnologia, raccolti in tre blocchi di strumentazione, che permetteranno di studiare particelle subatomiche, emissioni elettromagnetiche e campi magnetici.

MAVEN usa come carburante l’idrazina, di cui aveva una scorta pari a 1.700 litri al momento del lancio. La maggior parte è già stata consumata dalle manovre di correzione durante l’avvicinamento al pianeta e di ingresso in orbita, quindi la strumentazione funzionerà principalmente grazie all’energia prodotta dall’imponente matrice di pannelli solari che è stata dispiegata all’arrivo. L’orbita di MAVEN è fortemente eccentrica e questo la porta a viaggiare da un’altezza massima di 6.000 km a quella minima di soli 15o km.

Oltre al suo compito scientifico, MAVEN si farà carico anche di fungere da punto di raccolta delle informazioni radio provenienti dai rover che al momento sono ancora attivi sulla superficie, un compito inatteso ma importante perché recentemente il Mars Mars Reconnaissance Orbiter ha iniziato a perdere colpi, mettendo a rischio la sopravvivenza dei rover.

auto da corsa

Con nuovi design e l’avvento dei motori ibridi, il mondo delle corse in auto ha cambiato marcia.

Le auto da corsa del futuro

In tutte le specialità di corsa automobilistica, i veicoli vengono continuamente migliorati e riprogettati per raggiungere nuovi livelli di eccellenza. Dalla velocità di punta alla aereodinamica, dai consumi alla sicurezza, ogni area viene costantemente migliorata. Ultimamente, la tendenza trainante è quella della sensibilità all’ambiente.

Tutte le auto vengono testate per assicurarsi che siano in linea con le normative relative all’impatto ambientale e alle emissioni di gas serra. Per questo motivo, molti dei nuovi processi produttivi sono spinti verso lo sviluppo di motori ibridi ed elettrici. Alcuni tradizionalisti temono che l’enfasi posta sugli aspetti ecologici porterà a un peggioramento delle prestazioni e che i record del passato rimarranno imbattuti. Leggendo l’articolo scoprirete che le auto del futuro saranno sì più ecologiche, ma non tradiranno il loro principale obiettivo: essere le prime ad attraversare il traguardo.

Le nuove regole della formula 1

Il Gran Premio d’Australia ha dato il via al campionato Fi 2014, caratterizzato da un nuovo, rivoluzionario regolamento. Ogni auto deve avere batterie ricaricabili che recuperano energia che di solito andava persa. Il nuovo Sistema per il Recupero di Energia (ERS), che ha preso il posto del vecchio Sistema per il Recupero di Energia Cinetica (KERS), è progettato per recuperare l’energia dispersa durante le frenate e trasformarla in energia elettrica a disposizione dell’auto.

L’ERS fornirà ai piloti un supplemento di 119 kilowatt per giro (160 cavalli), che verranno erogati in modo automatico e non manuale. In più, un generatore che sfrutta il calore del motore (MGU-H) trasformerà il calore dei gas di scarico in una scorta energetica ulteriore. Questi nuovi sistemi saranno importanti, perché ai progettisti è stato imposto il limite di un solo tubo di scarico e si è passati dai motori V8 da 2,4 litri a quelli V6 da 1,6 litri, con un regime massimo di 15.000 giri al minuto. Tutte queste misure puntano a diminuire le emissioni e il consumo di carburante, mantenendo prestazioni elevatissime. In effetti viene usato il 35 percento di benzina in meno, per via del nuovo limite a Zoo chili contro i precedenti 16o.

L’ERS e I’MGU-H colmeranno la riduzione di potenza quasi W completamente. Oltre a questi cambiamenti generali, ogni costruttore ha apportato le proprie modifiche. Per esempio, Toro Rosso ha introdotto due radiatori per il raffreddamento dell’olio e un nuovo musetto che migliora il flusso dell’aria. Mercedes ha un nuovo sistema aerodinamico, mentre Williams sta sperimentando un sistema di raffreddamento più semplice. Ferrari sta testando un diverso collocamento per la batteria e un nuovo alettone anteriore.

cosè antilaser

Per risolvere il problema di come creare un dispositivo che possa assorbire l’energia di un laser, i ricercatori di Yale hanno semplicemente guardato come la luce laser viene prodotta e hanno invertito il procedimento.

L’antilaser: il piccolo dispositivo che può intrappolare un laser

Quello che hanno creato nel 2011 è stato il primo “anta laser” o assorbitore coerente perfetto (CPA). I laser convenzionali funzionano stimolando gli atomi di un materiale attivo. Quando gli atomi del materiale attivo tornano al loro stato naturale, emettono fotoni a una certa lunghezza d’onda, creando onde luminose perfettamente in fase. Dentro la cavità di amplificazione laser, degli specchi fanno rimbalzare i fotoni avanti e indietro, facendo sì che gli atomi emettano nuovi fotoni della identica lunghezza d’onda. Il risultato è la produzione di un enorme numero di fotoni con la stessa frequenza e direzione che creano un raggio di energia luminosa molto intenso e focalizzato.

L’anti laser sviluppato a Yale capovolge questo procedimento. Per prima cosa, un raggio laser viene diviso in due e si modifica uno dei due raggi risultanti in modo da invertire la sua fase rispetto all’originale. I due raggi risultanti vengono diretti su una piccola mattonella in silicio. La superficie del silicio agisce come una trappola, consentendo alla luce di penetrare ma non di uscire. Mano a mano che i due raggi rimbalzano all’interno del silicio, l’interferenza di fase fa sì che la loro energia diminuisca ad ogni interazione. Anche se il prototipo esistente può assorbire il 99,4°/o della luce, in teoria può essere ottimizzato per assorbirne il 99,99%. Questo processo di inversione della luce apre nuove prospettive, molto promettenti, allo studio su come la luce interagisce con vari materiali.

Domande sull’anti laser?

Cos’ha di così speciale un anti laser? E’ stato dimostrato che quando si colpisce un mezzo opaco con un raggio luminoso che abbia esattamente lo stesso pattern, questo penetra nel mezzo e viene assorbito. Si tratta di un principio nuovo.

A cosa può servire in pratica? Per esempio per sapere cosa succede dentro una cella solare. L’efficacia di una cella varia in base al punto in cui la luce viene assorbita. E’ possibile focalizzare la luce in profondità nella cella per vedere come questo influisce sulla resa. È una opportunità incredibile per chi lavora sulle celle solari.

L’anti laser ha applicazioni nella difesa? Quando la nostra è stata pubblicata, molte persone hanno pensato che avesse a che fare con una qualche forma di difesa da armi laser. In questo caso, un semplice specchio è una difesa più efficace. È molto più facile far rimbalzare via un raggio laser che tentare di assorbirlo. Quella che è stata sviluppata è una tecnica di assorbimento selettivo utile per altri scopi.